Dorry Hsu. The Aesthetic of fears, 2013 London. Museo del Gioiello di Vicenza, stanza Futuro. Ph. Silvia Valenti. |
Siamo nella nebbia fino al collo.
Fumosi discorsi ci accompagnano.
Dove?
Verso il futuro.
Ma non vi è futuro che neghi il suo passato. Non c'è moda che non ritorni. Né esiste tradizione da non innovare, dimenticare, ricordare e rinnovare ancora.
A questo punto, pare naturale arrendersi all'evidenza che qualcosa di più grande prenda il sopravvento dividendoci in schiere nemiche.
Mai come ora ho sentito l'esigenza di condividere i miei ragionamenti sul gioiello.
Lo spunto mi giunge da due "categorie" apparentemente posizionate agli antipodi della retta nominata Gioiello/Gioiello Contemporaneo: l'etnico e quello di protesi.
Donne Mursi, foto di Peter Wieser. Fonte Pixabay. |
Peter Wieser, autore di questa foto, ci viene in aiuto con una testimonianza contemporanea che affonda le radici in una dimensione lontana. Le donne Mursi in Etiopia sono iniziate alla deformazione del labbro superiore intorno ai 15 anni. Questa pratica scandisce il rito di passaggio dalla pubertà alla maturità sessuale. Più grande è il disco d'argilla decorato, più desiderabile diventa la donna che lo sfoggia.
In tutto ciò trovo un senso, anche se certi usi non sono per noi condivisibili. Gli anelli che allungano il collo di alcune donne appartenenti a specifiche etnie indonesiane, le perforazioni e le inserzioni di ossa nella cute, le scarificazioni, le bruciature, i tatuaggi sono simboli strettamente legati a specifiche tradizioni tribali. Questi individui vivono la loro esistenza ancora in modo primordiale. Non portano abiti, non hanno cellulari e non frequentano i social. Sono fedeli ai loro costumi.
Per quanto io sia di larghe vedute osservo dubbiosa le nuove tribù metropolitane "addobbate" di segni di popoli che magari nemmeno conoscono, commiste ai simboli della contemporaneità.
Viene da domandarsi perché. Contestazione, lotta al conformismo, autodeterminazione spinta all'estremo.
Va bene. Va bene. Va comunque bene.
Ecco, il gioiello oggi ne è metafora.
In origine era emblema di appartenenza a una categoria - i cacciatori primitivi indossavano i resti degli animali che cacciavano; era amuleto, talismano. Poi, nel corso della storia, ha cambiato le sue valenze modificandole e ampliandole fino a diventare un oggetto unico, di rara bellezza e fattura, composto di gemme e metalli preziosi. Negli anni Sessanta si è scrollato di dosso forme barocche e troppo classiche per indagare linguaggi nuovi. Ma pur sempre di gioiello si parlava.
Oggi, però, il termine gioiello non è più adeguato. Non gli basta nemmeno l'appellativo di contemporaneo per spiegarlo.
Non penso che ornamento per il corpo e gioiello possano essere sinonimi. Non lo credo affatto.
Così come fatico a definire gioiello quello di protesi.
Studio X - Lara Rettondini e Oscar Brito per OPOS. Gioielli per testa-occhi. Chinese Look 2005. Museo del Gioiello di Vicenza. Ph. Silvia Valenti. |
Quale indicazione culturale ci imporrà in futuro di indossare dei dispositivi che cambino i nostri tratti fisiognomici?
Jennifer Crupi. Gioielli per le mani, Power Gesture. New Jersey, USA, 2010. Museo del Gioiello di Vicenza. Ph. Silvia Valenti. |
Se condanniamo un certo tipo di pratiche "vagamente" invasive per la fisicità, davvero stiamo pensando che indosseremo (di nuovo) armature e sistemi di costrizione?
Se la ricerca biomedica avanzerà a tal punto da rendere possibile la sostituzione di membra del corpo e, compatibilmente con le teorie etiche, porterà all'immortalità, continueremo a chiamare gioiello una gamba bionica?
Sia chiaro che non sto condannando la ricerca, amo tantissimo il lavoro di alcuni designer che vedono lontano e osano senza freni. Amo il lavoro di Laureen Kalman, Olga Norohna, D. R. Obregon, Erik Halley, Hillarey Dees, Imme van der Haak, Liz Hundleby, Marina Sheetikoff e di molti altri che si occupano di scandagliare le frontiere della neuropschiatria, della sociopolitica, dell'etnopsicologia, della relazione, insomma tra corpo, mente e società.
Ma mi viene spontaneo fare sempre riferimento ai primi pionieri di questo tipo di ricerca, uno per tutti Gijs Bekker!
Di nuovo, dunque, ci troviamo di fronte a un Rewind, a un Dejavù.
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma postula Lavoisier.
Dunque per acquietare gli animi e rendere un po' di giustizia a chi ancora suda a banchetto cercando di creare un gioiello, non sarebbe forse il caso di rinominare l'iperconcettualismo contemporaneo applicato all'ornamento per il corpo?
Buoni pensieri a tutti!
Per saperne di più su me qui.
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